Come si scrive un film: Corso di Sceneggiatura

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Come si traduce un'idea che abbiamo in un film, come si trasforma un racconto che abbiamo scritto in una sceneggiatura? Quali sono le regole di base della scrittura di una sceneggiatura? La possibilità che abbiamo oggi un po' tutti di raccontare per immagini, grazie allo sviluppo della tecnologia, che ha semplificato e ridotto i costi di riprese e di post produzione, è un'occasione da non perdere. Ma se è immediato registrare audio e video di buona qualità anche solo con un cellulare non è altrettanto semplice registrare qualcosa che sia un racconto, un qualcosa che abbia un inizio, uno sviluppo e una conclusione. Lo stesso valga per una lettera, un articolo o un romanzo. Possiamo infatti non essere capaci di trasformare i nostri pensieri o le nostre emozioni in pagine di un libro ma abbiamo tutti - per la stesura di una sceneggiatura - un grande potenziale che è la nostra immaginazione. Più è ricca la nostra immaginazione e più possibilità abbiamo di scrivere una buona sceneggiatura. Già, ma da che cosa si parte, come trasformare i nostri pensieri in parole e immagini in movimento? Ho l'idea, ho tutta la storia ma come trasformo tutto questo in tante scene che poi diventeranno un film?Questo Corso risponde a queste domande conducendovi per mano, pagina dopo pagina, scena dopo scena, battuta dopo battuta, nella scrittura di una intera sceneggiatura originale che poi ognuno di voi può impegnarsi a girare.I diritti della sceneggiatura sono ceduti gratuitamente a tutti coloro che acquistano il Corso on line.Who this course is for:Tutti coloro che vogliono raccontare una storia con parole, suoni e immagini in movimento, per tutti coloro insomma che vogliono scrivere un film ma non sanno da dove cominciare

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Scrivere un film partendo da un soggetto originale o già esistente ad esempio in narrativa

Tutti coloro che vogliono raccontare una storia con parole, suoni e immagini in movimento, per tutti coloro insomma che vogliono scrivere un film ma non sanno da dove cominciare

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Sezione 1 1 lecture 03:42 Introduzione Nel Corso di Sceneggiatura on line di Alessandro Ippolito, il metodo di insegnamento e il relativo metodo di apprendimento si basano sulla pratica della scrittura che viene condivisa scena dopo scena, inquadratura dopo inquadratura davanti agli occhi dello studente. Al termine del Corso, l'allievo avrà una sufficiente conoscenza teorica, tecnica e pratica del lavoro che gli consentirà di scrivere compiutamente una intera sceneggiatura. Sezione 1 1 lecture 03:42 Introduzione Nel Corso di Sceneggiatura on line di Alessandro Ippolito, il metodo di insegnamento e il relativo metodo di apprendimento si basano sulla pratica della scrittura che viene condivisa scena dopo scena, inquadratura dopo inquadratura davanti agli occhi dello studente. Al termine del Corso, l'allievo avrà una sufficiente conoscenza teorica, tecnica e pratica del lavoro che gli consentirà di scrivere compiutamente una intera sceneggiatura. Introduzione Nel Corso di Sceneggiatura on line di Alessandro Ippolito, il metodo di insegnamento e il relativo metodo di apprendimento si basano sulla pratica della scrittura che viene condivisa scena dopo scena, inquadratura dopo inquadratura davanti agli occhi dello studente. Al termine del Corso, l'allievo avrà una sufficiente conoscenza teorica, tecnica e pratica del lavoro che gli consentirà di scrivere compiutamente una intera sceneggiatura. Introduzione Nel Corso di Sceneggiatura on line di Alessandro Ippolito, il metodo di insegnamento e il relativo metodo di apprendimento si basano sulla pratica della scrittura che viene condivisa scena dopo scena, inquadratura dopo inquadratura davanti agli occhi dello studente. Al termine del Corso, l'allievo avrà una sufficiente conoscenza teorica, tecnica e pratica del lavoro che gli consentirà di scrivere compiutamente una intera sceneggiatura. Introduzione Nel Corso di Sceneggiatura on line di Alessandro Ippolito, il metodo di insegnamento e il relativo metodo di apprendimento si basano sulla pratica della scrittura che viene condivisa scena dopo scena, inquadratura dopo inquadratura davanti agli occhi dello studente. Al termine del Corso, l'allievo avrà una sufficiente conoscenza teorica, tecnica e pratica del lavoro che gli consentirà di scrivere compiutamente una intera sceneggiatura. Introduzione Nel Corso di Sceneggiatura on line di Alessandro Ippolito, il metodo di insegnamento e il relativo metodo di apprendimento si basano sulla pratica della scrittura che viene condivisa scena dopo scena, inquadratura dopo inquadratura davanti agli occhi dello studente. Al termine del Corso, l'allievo avrà una sufficiente conoscenza teorica, tecnica e pratica del lavoro che gli consentirà di scrivere compiutamente una intera sceneggiatura. Nel Corso di Sceneggiatura on line di Alessandro Ippolito, il metodo di insegnamento e il relativo metodo di apprendimento si basano sulla pratica della scrittura che viene condivisa scena dopo scena, inquadratura dopo inquadratura davanti agli occhi dello studente. Al termine del Corso, l'allievo avrà una sufficiente conoscenza teorica, tecnica e pratica del lavoro che gli consentirà di scrivere compiutamente una intera sceneggiatura. Nel Corso di Sceneggiatura on line di Alessandro Ippolito, il metodo di insegnamento e il relativo metodo di apprendimento si basano sulla pratica della scrittura che viene condivisa scena dopo scena, inquadratura dopo inquadratura davanti agli occhi dello studente. Al termine del Corso, l'allievo avrà una sufficiente conoscenza teorica, tecnica e pratica del lavoro che gli consentirà di scrivere compiutamente una intera sceneggiatura. Preparazione alla scrittura di una sceneggiatura. 5 lectures 23:21 Spunto Idea Soggetto Nel mio Corso di regia e Riprese Video (che potete trovare su Udemy), parlando di INQUADRATURA ho spiegato che “l’INQUADRATURA è lo SPAZIO delimitato entro il quale si svolge una determinata AZIONE in un determinato TEMPO”. Più INQUADRATURE - ho continuato più avanti nel Corso - formano una SCENA. Più SCENE - dico adesso - formano una SCENEGGIATURA. Ma prima che voi cominciate a “sognare” sulla professione dello sceneggiatore, voglio buttare acqua sul fuoco dei vostri entusiasmi. Vi rimando pertanto ad alcuni brani sul mestiere dello sceneggiatore tratti dal romanzo “Il disprezzo” di Alberto Moravia. Se queste parole dello scrittore non riusciranno a spegnere quel fuoco, be’ avete qualche speranza di poter fare questo duro e difficile lavoro. “(…) lo sceneggiatore è colui che scrive, per lo più in collaborazione con altro sceneggiatore e con il regista, la sceneggiatura ossia il canovaccio dal quale, in seguito, sarà tratto il film. Nella sceneggiatura, uno per uno, secondo gli sviluppi dell’azione, sono minuziosamente legati i gesti e le parole degli attori e i diversi movimenti della macchina da presa”. Qui Moravia dimenticava i MOVIMENTI degli attori nella inquadratura, ma osservava che “ (…) la sceneggiatura è, dunque, al tempo stesso, dramma, mimica, tecnica cinematografica, messa in scena, regia”. Nel 1963, dal romanzo di Moravia, Jean-Luc Godard trasse un film omonimo, con Brigitte Bardot e Michel Piccoli. In effetti le pagine di Moravia sono estremamente interessanti perché del mestiere dello sceneggiatore parla uno scrittore, una persona cioè che, come forse molti di voi che mi state leggendo, si è avvicinata alla sceneggiatura come scrittore, appunto, e non come cineasta. Sentite Moravia. “(…) Ora, sebbene la parte dello sceneggiatore nel film sia di prima importanza e venga irrimediabilmente dopo quella del regista, per ragioni inerenti allo sviluppo sinora seguito dall’arte del cinema, essa rimane sempre irrimediabilmente subordinata e oscura. Se infatti si giudicano le arti dal punto di vista dell’espressione diretta, e non si vede altrimenti come si potrebbero giudicare, lo sceneggiatore è un artista che, pur dando il meglio di sé al film, non ha poi la consolazione di sapere che avrà espresso se stesso. Così, con tutto il suo travaglio creativo, egli non può essere che un fornitore di trovate, di invenzioni, di accorgimenti tecnici, psicologici, letterari; spetta poi al regista di adoperare questa materia secondo il suo genio e, insomma, di esprimersi. Lo sceneggiatore, dunque, è l’uomo che rimane sempre nell’ombra, che si svena del suo miglior sangue per il successo di altri; e che, sebbene la fortuna del film dipenda per due terzi da lui, non vedrà mai il proprio nome sui cartelloni pubblicitari dove sono invece indicati quelli del regista, degli attori e del produttore. Egli può, è vero, come avviene spesso, raggiungere anche l’eccellenza in questo suo mestiere subalterno, ed essere pagato molto bene; ma non può mai dire: “Questo film l’ho fatto io… in questo film mi sono espresso… questo film sono io…”. Moravia scrisse questo romanzo nel 1954. Non poteva certo immaginare che sessant’anni dopo, grazie allo sviluppo della tecnologia, sarebbero nate figure professionali come quella del filmmaker che comprendono, tutte insieme, anche il mestiere del regista, del cameraman, del produttore. “Questo film è mio”, osservava Moravia, può dirlo soltanto il regista perché è il solo che firma veramente il film. “(…) Lo sceneggiatore invece deve contentarsi di lavorare per il denaro che riceve, il quale, lo voglia o no, finisce per diventare il vero e solo scopo del suo lavoro. Così allo sceneggiatore non rimane che godersi la vita, se ne è capace, con quel denaro che è il solo risultato della sua fatica, passando da una sceneggiatura all’altra, da una commedia a un dramma, da un film di avventure a un film sentimentale, senza interruzione, senza pause (…)”. Ma oltre a questi inconvenienti, per Moravia il mestiere dello sceneggiatore ne ha altri che sono altrettanto fastidiosi: “(…) Al contrario del regista, che gode di fronte al produttore di una tal quale autonomia e libertà, lo sceneggiatore non può che accettare o rifiutare la sceneggiatura che gli viene proposta; ma una volta accettata la sceneggiatura non può in alcun modo scegliere i suoi collaboratori: egli viene scelto, non sceglie. Avviene così che secondo simpatie, la convenienza, il capriccio del produttore o semplicemente il caso, lo sceneggiatore si trova costretto a lavorare con persone che gli sono antipatiche, che gli sono inferiori per cultura e civiltà, che lo irritano con tratti di carattere e maniere che non sono di suo gusto. Ora lavorare insieme a una sceneggiatura non è come lavorare insieme, poniamo, in un ufficio o in una fabbrica, dove ognuno ha un suo lavoro da fare indipendentemente dal suo vicino dove i rapporti possono essere ridotti a ben poco, se non addirittura aboliti. Lavorare insieme ad una sceneggiatura vuol dire vivere insieme, dalla mattina alla sera, sposando e fondendo la propria intelligenza, la propria sensibilità, il proprio animo a quello degli altri collaboratori; vuol dire, insomma, creare, per quei due o tre mesi che dura la sceneggiatura, una fittizia e artificiosa intimità che ha per solo scopo la fattura del film e dunque, in ultima analisi, come ho già accennato, il denaro. Questa intimità poi è della peggior specie, ossia la più stancante, snervante e sazievole che si possa immaginare. Perché fondata non su un travaglio silenzioso, come potrebbe essere quello di scienziati che si dedichino insieme a qualche esperimento, ma sulla parola. Il regista di solito raduna i suoi collaboratori fin dalle prime ore del mattino, ché così vuole la brevità del tempo concesso alla fattura del copione; e dalle prime ore del mattino fino a notte, gli sceneggiatori non fanno che parlare, per lo più tenendosi al lavoro, ma spesso, per volubilità o stanchezza, divagando insieme sui più disparati argomenti. Chi racconta aneddoti scollacciati, chi espone le proprie idee politiche, chi fa della psicologia su questa o quest’altra persona di comune conoscenza, chi parla di attori o di attrici, chi si sfoga intorno ai propri casi personali; intanto, nella stanza in cui ha luogo il lavoro, l’aria si riempie del fumo delle sigarette, le tazze di caffè si ammucchiamo sui tavoli accanto ai fogli della sceneggiatura e gli sceneggiatori che vi erano entrati al mattino compiti, pettinati in ordine, si ritrovano, a sera, arruffati, in maniche di camicia, sudati e scarmigliati peggio che se avessero dovuto sforzare una donna frigida e restìa. (…)”. Lo sviluppo del personaggio narrante, nel romanzo di Moravia, spiega questa visione disperata del mestiere di sceneggiatore. Ma, credetemi, ed è per questo che ve l’ho proposta, corrisponde in larghissima parte al vero. Ecco una piccola concessione dello scrittore: “(…) Naturalmente può anche avvenire che il film sia di qualità superiore, che il regista e i collaboratori siano legati già in precedenza da vicendevole stima e amicizia… ma queste favorevoli combinazioni sono rare, come, appunto, sono rari i buoni film”. C’è un altro passaggio del libro altrettanto veritiero e direi anche divertente: “(…) Appena entravo in casa del regista e lui mi accoglieva nel suo studio con una frase di questo genere: “Allora ci hai pensato stanotte? Hai trovato la soluzione? provavo una senso di fastidio e di ribellione. Poi, durante il lavoro, tutto mi appariva in una luce di impazienza e di disgusto: le divagazioni di ogni sorta con le quali registi e sceneggiatori, come ho già accennato, cercano di alleviare le lunghe ore di discussione; l’incomprensione o ottusità o semplice disparità di opinione dei miei collaboratori via via che si scriveva il copione; perfino le lodi del regista per ogni mia trovata o risoluzione, lodi che mi sapevano di amaro perché mi pareva, come ho già detto, di dare il meglio di me stesso per qualche cosa che in fondo non mi riguardava e a cui non partecipavo volentieri. Anzi quest’ultimo inconveniente mi apparve in quei giorni come il più intollerabile; e non potevo fare a meno, ogni volta che il regista, con il linguaggio demagogico e popolaresco che è proprio a molti di loro, saltava sulla seggiola esclamando: “Bravo. Sei un cannone!”, di pensare con dispetto: “Questo avrei potuto metterlo in un mio dramma, in una mia commedia (…)”. Secondo Moravia le sceneggiature rassomigliano un poco ai vecchi tiri a quattro in cui c’erano “(…) cavalli più forti o più volenterosi che tiravano e altri che fingevano di tirare, mentre in realtà si lasciavano trascinare dai loro compagni. Ebbene, con tutta la mia impazienza e il mio disgusto, io ero sempre il cavallo che tirava; gli altri due, il regista e il collega di sceneggiatura, come mi accorsi ben presto, sempre aspettavano, di fronte a qualche difficoltà, che io mi facessi avanti con la mia soluzione. E io, pur maledicendo dentro di me il mio scrupolo e la mia facondia, non mi facevo pregare e con subitanea ispirazione fornivo la soluzione. Non ero spinto a far questo da alcuno spirito di emulazione, bensì da un impulso di onestà più forte di qualsiasi volontà contraria: ero pagato, dunque dovevo lavorare. Ma ogni volta mi vergognavo di me stesso e provavo un senso di avarizia e di rimorso, come a sperperare per pochi denari qualche cosa che non aveva prezzo e di cui, comunque, avrei potuto fare un uso infinitamente migliore. (…)”. Il nostro Soggetto L'individuazione (o la definizione o la scrittura) del soggetto è il passo sicuramente più importante che precede il lavoro di sceneggiatura. Ma prima di scrivere "Scena1" abbiamo, come vedrete più avanti, ancora tre passaggi obbligatori: la definizione del Genere del nostro film, la definizione dei Personaggi, il trattamento o la Scaletta. Adesso leggete con attenzione la favola scritta da Perrault che ci guiderà per tutto il percorso di scrittura. Cappuccetto Rosso, fiaba di Charles Perrault C’era una volta una bambina che viveva con la mamma in una casetta al margine del bosco: questa bambina si chiamava Cappuccetto Rosso perché la mamma le aveva fatto una mantellina con un cappuccio rosso, che la bambina portava sempre perché le piaceva molto. Cappuccetto Rosso aveva una nonna, molto vecchia, che abitava in una casetta al di là del bosco e che un giorno si ammalò. La mamma pensò di mandare Cappuccetto Rosso a portarle delle focaccine, un po’ di burro e della marmellata. Prima di partire, la bambina promise alla mamma di non fermarsi nel bosco per nessun motivo, di non parlare con nessuno e di camminare dritta verso la casa della nonna. Cappuccetto Rosso uscì di casa e si avviò ma, quando fu nel bosco, si lasciò distrarre dai fiori, dagli animaletti e si fermò a giocare. Il lupo, che abitava nel bosco, vide la bambina e si mise a chiacchierare con lei amabilmente. Venne così a sapere dove stava andando e le consigliò la strada più lunga, in modo da poter arrivare per primo a casa della nonna. Quando arrivò, si fece aprire la porta facendo una vocina come quella di Cappuccetto Rosso, entrò, si mangiò la nonna in un boccone e si mise a letto, sotto le coperte, ad aspettare la bambina per mangiare anche lei. Cappuccetto Rosso arrivò, guardò quella che credeva essere la nonna e disse: “Nonnina, che occhi grandi hai!” e il lupo rispose: “È per guardarti meglio”. “E che orecchie grandi hai!”. “È per sentirti meglio”. “E che bocca grande hai!”. “È per mangiarti meglio!!!” e il lupo saltò fuori dal letto e se la mangiò. Un cacciatore, che passava lì vicino, sentì le grida di Cappuccetto Rosso, corse dentro la casetta, vide il lupo che dormiva profondamente con la pancia gonfia e gliela tagliò con un coltello. Cappuccetto Rosso e la nonna saltarono fuori, facendo grandi feste al coraggioso cacciatore. Definizione del Genere La definizione del Genere del nostro film è di vitale importanza per la sceneggiatura che stiamo per scrivere. Come sarà il nostro film, drammatico, comico, un giallo, un film d'azione o didattico? Ci farà sorridere o ci terrà in tensione per tutto il tempo? E poi: a quale pubblico ci rivolgiamo, a tutti, ai ragazzi, ai bambini? Come facciamo a scrivere delle scene se non sappiamo che genere di emozioni vogliamo dare al nostro pubblico? Nel nostro caso, è proprio l'autore della storia e dunque del soggetto a rispondere a queste domanda. Le sue parole sono state scritte più di trecento anni fa eppure sono di grande attualità perché sfiorano, con il garbo letterario di allora, il pericolo della pedofilia. Leggete la Nota di Charles Perrault a margine del suo “Le Petit Chaperon Rouge” (1697) « Da questa storia si impara che i bambini, e specialmente le giovanette carine, cortesi e di buona famiglia, fanno molto male a dare ascolto agli sconosciuti; e non è cosa strana se poi il Lupo ottiene la sua cena. Dico Lupo, perché non tutti i lupi sono della stessa sorta; ce n'è un tipo dall'apparenza encomiabile, che non è rumoroso, né odioso, né arrabbiato, ma mite, servizievole e gentile, che segue le giovani ragazze per strada e fino a casa loro. Guai! a chi non sa che questi lupi gentili sono, fra tali creature, le più pericolose! » Definizione dei personaggi Dopo aver definito il genere del nostro film, in questa lezione vengono definiti i personaggi della storia. Nel nostro caso, partendo da un soggetto di cui siamo perfettamente a conoscenza, l'approfondimento riguarda soprattutto il personaggio del Lupo. Il lavoro di definizione dei personaggi è fondamentale per uno sceneggiatore. Per potere scrivere, scena dopo scena, i movimenti, le reazioni, le battute di un personaggio, lo sceneggiatore deve avere una perfetta padronanza del suo carattere, della sua personalità, della sua storia. Si noti come, ad esempio, nella sinopsi di "Il mio grosso grasso matrimonio greco”, che abbiamo citato nelle lezioni precedenti, i personaggi siano già caratterizzati: la furbissima madre Maria, il bellissimo insegnante di letteratura vegetariano, ecc. Leggiamola:“Il mio grosso grasso matrimonio greco”, film del 2002 diretto da Joel Zwick e prodotto da Tom Hanks p 22 ad aspettare la bambina per...

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Per seguire questo Corso con profitto occorre immaginazione, passione per il Cinema e per la Scrittura

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